Nell'articolo precedente abbiamo capito che l'intento è un ingrediente fondamentale, anche in cucina. Per alcuni cucinare e mangiare sono solo un'abitudine: quando arriva mezzogiorno lo stomaco comincia ad aprirsi e l'appetito a crescere. Suona la campanella e la saliva ricopre la lingua. Alcuni altri oltre a riempire lo stomaco riescono a fare un passetto in più, ovvero ad assaporare ciò che mangiano, e quando cucinano magari cercano prodotti più buoni e genuini di quelli industriali e aromatizzati che si trovano in ogni supermercato.
Ma se ci si limita soltanto a gustare un piatto la nostra esperienza di esso avviene attraverso un solo senso, che è appunto il gusto. Per esperirlo in modo più profondo e completo, serve integrare anche gli altri quattro sensi: vista, olfatto, udito e tatto. Un'idea che ormai troviamo nei piatti di ogni grande chef.
Questi differenti tipi di consumo del pasto corrispondono non solo a differenti livelli di consapevolezza del proprio approccio al cibo, ma anche, metaforicamente, del proprio approccio alla vita. In altre parole, la misura della nostra capacità di "essere presenti" equivale alla misura della nostra capacità di assaporare e godere di un pasto.
Essere presenti però non vuol dire solo mettere attenzione in ciò che si fa: questo è il primo passo, ma poi c'è dell'altro. Essere presenti infatti è anche una questione di conoscenza, di comprensione, di totale integrazione con lo spazio-tempo nel quale stiamo agendo. Per capire cosa intendo, basta pensare per esempio a chi osserva un quadro sapendo cosa rappresenta, e a chi lo osserva ignorando ciò. Chiaramente l'esperienza che ne deriva è ben diversa, in quanto chi sa cosa rappresenta può "osservare" (intellettualmente) di più di quanto può vedere chi ne ignora il significato.
E ciò avviene tanto nell'osservare un quadro che nel consumare o cucinare del cibo. Se a mangiare è soltanto il nostro corpo fisico, ciò che mangiamo nutrirà soltanto lui. Se invece siamo coinvolti anche emozionalmente e mentalmente, quel cibo nutrirà anche le nostre emozioni e i nostri pensieri. E così nel cucinare: l'essere presenti, l'essere consapevoli, aggiunge al cibo un nutrimento che supera l'aspetto fisico. Come detto nell'articolo precedente, anche l'intento è un ingrediente che aggiunge sapore al piatto.
Sapore e sapere hanno in comune qualcosa in più della loro radice: come osserva il Manno, la strada dalla lingua al naso, e dal naso al cervello è breve [1]... e infatti chi percorre la via del Sé è ben consapevole che è la Sapienza a dare sapore alla vita (e ai nostri piatti).
Continueremo il discorso nel prossimo articolo. Ora veniamo alla ricetta di oggi, la quale nasce dall'intento di trasformare gli scarti in una risorsa. Alcuni giorni fa ho fatto un buonissimo frullato con mela, banana e mirtilli, ed ho filtrato il frullato con il passino, ottenendo un ottimo succo e una specie di omogeneizzato di polpa e bucce. Uno scarto per il quale la Madre Terra e diverse persone hanno speso fatica ed energie per far si che arrivasse alla mia cucina. Pertanto, invece di buttarlo, ho preferito trasmormarlo in una risorsa, ed è diventato così la base della mia prima mostarda.
E visto il risultato, mi sa che non sarà neanche l'ultima.
Preparazione
Ho preso lo "scarto" del frullato di mela, banana e mirtilli filtrato con il passino e l'ho messo in una casseruola (ovviamente dopo aver bevuto il succo...) e ho aggiunto acqua, un'altra mela a pezzetti, una cipolla e un peperone tritati, un pezzettino di peperoncino, alloro, senape, mezzo bicchiere di vino e zucchero. Ho lasciato cuocere finché la consistenza mi è sembrata adeguata. Infine l'ho messa in un vasetto, e arrivata a temperatura ambiente l'ho messa in frigo. L'ho consumata nel giro di un paio di settimane.
Deliziosa, soprattutto con il pecorino!